Recensioni

ANGELA ALES BELLO

Filosofa, fondatrice e direttrice del Centro italiano di Ricerche Fenomenologiche di Roma

L’originalità nel segno

L’idealismo, qui inteso è quello che noi normalmente diciamo. Bisogna coltivare non solo ciò che è reale, ma vedere nel reale un momento ideale. Quindi il momento ideale è il momento essenziale. Va all’essenza. La questione del surreale la possiamo chiarire andando al fondo delle due parole. Anche nel testo della Storica dell’arte Ornella Ferrari, ho trovato le due parole insieme il surreale che è anche ideale. Allora riflettiamo su questa particella Sur che viene prima di reale e di ideale che significa oltre, sopra. Il reale è quello che ci si presenta e qui c’entra la fenomenologia cioè il fenomeno, le cose che si presentano e si presentano nella loro concretezza. Ciò che va oltre significa un’operazione interessante che riguarda il fenomeno dell’arte e la spiegherei anche attraverso una riflessione che fa lo stesso maestro della scuola Husserl. Quando noi vediamo le cose abbiamo anche altre capacità non solo di vederle, di toccarle di coglierle nei tratti particolari, ma abbiamo anche un’altra capacità che è quella che noi diciamo immaginazione, fantasia di partire da queste cose reali per inventare, fantasticare proporre ad un altro livello una realtà che è come se fosse quella ma non è quella. L’arte ha questa caratteristica di portarci in un mondo che è sempre surreale, che supera la realtà, non dimenticandola. Il problema è questo, questo superamento della realtà, che non si deve dimenticare può essere semplicemente fatto in un modo che si colgano alcuni tratti esteriori di questa realtà e si portano su un altro piano? Oppure si cerca di interpretare quella realtà e nel mondo come se si porta il senso, l’essenza di ciò che noi vediamo normalmente. Il Suridealismo è una categoria molto interessante. Noi della realtà se è vera arte cogliamo quegli aspetti di profonda verità, il messaggio cosa ci dice ma non solo singolarmente, ma cosa ci dice che tutti possiamo condividere che non riguarda la realtà perchè la realtà qualche volta non corrisponde a questa idealità ma ci porta in un mondo in cui questa idealità è manifestante. E allora lì siamo felici. Ecco perché noi siamo felici quando vediamo un’opera d’arte perché ci soddisfa dal punto di vista dell’esigenza di una nostra idealità. E questo accade nella produzione artistica di Antonello Morsillo che ha effettivamente delle doti interessanti. Per cui il passare dalla realtà ad un momento ideale indica la capacità di saper cogliere ecco perché non rimane ad elemento puramente esteriore, ad un segno che è sempre significante ed è significante di un messaggio di una idealità. In un certo senso ci dice anche, è questo l’aspetto etico, cosa dobbiamo fare.  Come ci dobbiamo comportare guardando quel quadro? Quel quadro ci dice qualcosa ma ci da anche un orientamento e quindi c’è anche questo aspetto di insegnamento in fondo, ma che corrisponde a una nostra esigenza profonda. E questo è veramente il messaggio dell’arte quando non è semplicemente un disegno che noi possiamo fare.Nelle opere di Morsillo è fondamentale l’assunto storico-politico. Il prendere posizione nei confronti di una situazione politica anche a costo della vita. In questo momento contemporaneo trovo sia molto importante riproporre la questione del Suridealismo proprio perché il clima culturale prevalente è molto orientato sulla superficialità. La modalità espressiva caratterizza ciascun artista. E l’originalità di Morsillo sta nei segni utilizzati. L’arte, in questo caso pittorica, è tale quando i segni che la esprimono hanno una caratteristica di novità rispetto ad altri cioè lì vedo qualcosa che è usato in un modo assolutamente personale e pure espressivo per cui possiamo cogliere il messaggio universale.

GAETANO CRISTINO

Operatore culturale e critico d’arte

L’esercizio del ricordo rompe l’indifferenza

Il potere evocativo delle immagini – ha scritto Antonello Morsillo – può riuscire a scardinare, a scuotere le coscienze”. Ed è quanto accade con le sue opere, specie quelle dedicate a figure che sono state vittime di persecuzioni e pregiudizi razziali, o a quanti hanno sacrificato la propria vita per gli altri o ai tanti “eretici” che hanno mantenuto fede alle proprie idee fino all’estremo. Se, infatti, le testimonianze sugli orrendi crimini verso l’umanità, come è accaduto con la Shoah, diventano storia, si fanno memoria, l’esercizio del ricordo deve essere continuamente attivato, anche attraverso l’arte, perché bastano poche generazioni, e già lo vediamo, a fare in modo che il dolore e la sofferenza diventino eco lontana che non riesce più a mettere in guardia verso il ripetersi, magari con i meccanismi di una modernità senza etica, dell’orrido, che è stato. E ricordare non basta, ovviamente, perché occorre che tutti gli sforzi siano costantemente rivolti a costruire un avvenire di giustizia e di libertà. Congiungendo l’arte all’etica, che è proprio quello che le opere dell’artista foggiano suggeriscono. Non solo, ma esse consentono anche più di una riflessione sul ruolo dell’arte nella società contemporanea. L’arte è davvero giunta a compimento, come sosteneva Arthur Danto, dal momento che essa opera ormai quasi esclusivamente in termini di autoreferenzialità e di metalinguaggio, escludendo il riferimento al mondo, oppure ha ancora una funzione formativa e di orientamento dell’esperienza umana, muovendosi comunque in coerenza con l’evoluzione dei propri linguaggi? Questa seconda alternativa è quella scelta da Morsillo con il suo Suridealismo, aggiornamento sull’arte dell’omonimo manifesto di Emile Malespine. Le sue opere, dice infatti Ornella Ferrari, “sono intrise di fervori sociali rappresentati all’interno di scenari onirici”. Per Morsillo dunque l’arte deve avere un senso, deve essere strumento di conoscenza della realtà sociale ed esistenziale. E da alcuni anni ormai ha dato una svolta alla sua arte ponendo in primo piano la necessità di tener viva la memoria dei martiri di ogni tipo di violenza. Questa mostra ne è un saggio. Essa contiene opere presentate in precedenti mostre, da Shoah I risvolti del pregiudizio a Svestiti di carne i martiri del pensiero a Suridealista l’arte come urgenza etica, ma anche opere presentate per la prima volta, come Fiabe perdute, in ricordo di tutti i bambini uccisi nei campi di concentramento, che chiude la sezione dedicata ai martiri della Shoah. Un’opera essenziale e struggente, lirica e drammatica: un palloncino rosso, trattenuto da un filo spinato, con dentro una figura disperata, e tutt’intorno la deflagrazione, “l’esplosione di geni – come dice l’Autore – che avrebbero meritato un mondo diverso mentre urlano la vita”. Un’opera che chiude in maniera esemplare il percorso iniziato con I Risvolti del pregiudizio una tela dove da un occhio spalancato, con la pupilla incisa dalla stella di David, sgorgano copiose lacrime colorate. Sono i colori che marchiavano gli internati nei lager, dagli ebrei ai politici ai Testimoni di Geova, ai Rom e Sinti, agli omosessuali, ai senza fissa dimora, ai prigionieri di guerra, fino ai criminali comuni…Sono lacrime di dolore, e anche di rabbia per la consapevolezza che la coscienza di molti, di moltissimi, era sopita quando si pianificava lo sterminio di uomini, donne e bambini innocenti vittime di pregiudizio. Lacrime colorate che accompagnano, come una quinta di scena, le opere dedicate ad alcuni dei martiri della Shoah, dal francescano Massimiano Kolbe (Il Cavaliere dell’Immacolata) alla monaca e filosofa cristiana di origine ebraica Edith Stein (La Mistica della Croce), dalla pittrice tedesca Charlotte Salomon, uccisa nella camera a gas mentre era incinta di pochi mesi (La Creazione interiore) alla scrittrice olandese Etty Hillesum (L’inchiostro di Dio) fino a ad Anne Frank (L’alloggio segreto) fino a Jo (L’amore anonimo) il compagno dello scrittore Pierre Seel che denunciò le deportazioni naziste degli omosessuali. Con uno stile mano a mano privo di ogni indulgenza al pittoricismo e alla descrizione, Morsillo toglie il superfluo per portarci direttamente, con pochi incisivi segni e macchie d’inchiostro, a volte una semplice linea di colore e disegno di filo spinato, nella vita di ciascuna delle vittime della barbarie umana, nei loro sogni, nei loro affetti. Sicchè la memoria rompe gli equilibri, scuote l’indifferenza e ci porta all’azione. Questo ci dice Morsillo anche con la galleria di personaggi che compongono la seconda sezione di questa mostra, che idealmente si ricollega, per più di un aspetto, alla prima. Eretici, visionari, libertari, pacifisti, democratici, non hanno avuto vita facile nel corso dei secoli, come insegnano, tra le altre, le vicende esemplari di Giordano Bruno, Gandhi, Marat, Marielle Franco, martiri del pensiero e della democrazia. Ecco allora sorgere imperiosa la domanda: perché tanta disumanità e indifferenza? Una delle risposte più convincenti viene da Zygmunt Bauman: “in un sistema in cui la razionalità e l’etica spingono in due direzioni diverse, l’umanità subisce i danni maggiori”. Eppure dice sempre Bauman, “il male non è onnipotente. È possibile resistergli. La testimonianza di coloro che effettivamente gli hanno opposto resistenza scuote la validità della logica dell’autoconservazione” insita nel principio di razionalità. Non rimane allora, per battere il male, che l’etica, cui Morsillo dedica una tela pregna di simbolismi, emblema del suo Suridealismo artistico. Una benda copre gli occhi di una donna, calva (segno di innocenza) ma affascinante. È quella benda che l’umanità deve togliersi, come avviene nei riti iniziatici, per avere la pienezza della luce e della verità e perseguire il bene anche a costo della propria vita.

CARLA D’AQUINO MINEO

Storico e critico d’arte

Tra sogno e realtà la poetica dell’immaginario

Tra natura e immaginazione, realtà e fantasia del reale, si snoda la suggestiva narrazione figurativa del maestro Antonello Morsillo, dove l’elemento mobile e fantastico, nell’intensità emozionale del colore, coniuga tradizione ed avanguardia, il reale con l’immaginario, la razionalità con la pulsione sentimentale in quadri della memoria, tra squisite morbidezze, sfocature ed improvvise accensioni nelle liriche lontananze, mentre la pittura si svela ora dolcemente apollinea, ora convulsamente dionisiaca. Così, il mondo visibile, si colora di una bianca luce esalta ed insegue le liriche immagini, traducendo le intime ed inconsce sensazioni dell’autore, mediante una libera ed istintiva gestualità nell’emozionalità cromatica. Grigi perlacei, gialli solari, rosati smorzati ed i rossi fiammeggianti nell’alchimia coloristica, si posano soavemente su immagini oniriche ed atmosferiche, tra velature e sfumature tonali, scandite da campiture di colore, mediante diversificate modalità esecutive, dove i ritmi della composizione ricordano una narrazione simbolista, mentre le visioni diventano incorporee ed irreali, nell’apparizione di miti ed eroi del passato, intensi ritratti nell’armonia formale di eleganza classica. In tal modo, i dati figurali son immersi in una luce avvolgente nella dialettica del nero, percorrendo una narrazione allusiva, quanto, fantastica, in cui aleggia mistero e magica poesia. Ecco che allora, i dipinti di Antonello Morsillo appaiono come un replay della memoria: una finestra che si apre all’aria ed alla luce, mentre un velo leggero di vapori nelle visioni trasognate, accompagna l’evasione spirituale, dove la fuga dei pensieri s’inoltra in uno spazio trascendentale. Dal sacro al profano, la sua ricerca si rivolge ad una dimensione figurativa, tra aspetti psicologici e formalistici dell’uomo che rimandano ad una finissima lettura simbolica, mentre il pathos fluisce nei colori. Splendida pittura, quindi, nutrita di un’ampia ed originale cultura figurativa, intrisa di simbologie nelle allusioni della vita e nelle riflessioni esistenziali, mentre l’armonia formale di cultura classica si veste di una nuova creatività cromatica che evidenzia negli effetti chiaroscurali un senso volumetrico delle raffigurazioni in un’autonoma e personale modalità stilistica, svincolata da forme precostituite e da dettami accademici che si evolve nella poetica dell’immaginario. Ecco perché, il mondo evocativo è ricreato fantasticamente con armonie inedite e finissime sensazioni nella varietà dei fermenti ispirativi, dove le morbide sfumature del colore che cogli i barlumi di luce, concretizza una trasognata realtà che approda ad un’ambientazione surreale nell’abbandono all’inconscio ed al sogno. Alla fine, il segno emerge sovrano nella morbidezza dei colori, dove si rivela una indiscussa autorità nel campo ritrattistico in un realismo che diviene quasi fotografico nel volto, assumendo però significati simbolici verso una dimensione fantastica, ma direi spirituale nelle infinite sensazioni che scaturiscono dalla genialità e dalla fervida creatività dell’autore. Sta qui il fascino dei dipinti del maestro Antonello Morsillo: la visione contemplativa del reale interpreta il suo messaggio visivo nella meditazione dell’esistenza, celebrata nella magnificenza di volti e sinuose figure femminili nella loro classica bellezza, dove i tipici ritratti di donna sono rapidissimi, colti dal vero, delineando con pochi segni la posa del soggetto raffigurato, mettendo in risalto dettagli con una straordinaria qualità della luce, tra sogni archetipi, allusioni e metafore della vita nell’incanto di un sogno e nelle voci segrete e musicali dell’armonia pittorica.

EMILIO DEL GESSO

Docente di Storia dell’arte, Università dell’Arkansas di Roma

Viaggio nell’idealismo iconico

I quadri di Antonello Morsillo rimandano all’immagine come icona: qualcosa cioè di consono alla verità mistica ed alla sua rivelazione. Ma la sua non nasce nei monasteri: dei vecchi cenobi non ha nulla, semmai ne fa una citazione. Citazione linguistica però che serve allo svelarsi dell’animus e del suo io profondo in conflitto con l’alterità tragica ed effimera dei giorni che passano. E come per quelle della fede le sue icone proprio per storia e per statuto hanno una perentorietà ed una fissità che mette in scacco la precarietà dell’esperienza vissuta. L’artista non dimentica che nella mistica bizantina l’immagine era la manifestazione epifanica del divino. Conseguentemente e forse inconsciamente Morsillo si avvale dello stesso linguaggio ma scegliendo icone laiche o martiri dell’eterodossia. Da Giordano Bruno ad Ipazia, da Luisa Sanfelice a Maria di Scozia i nuovi martiri laici vengono rappresentati con volti che ci fissano occupando gran parte della superficie del quadro come nelle antiche iconografie dei conventi greco-ortodossi. Tuttavia proprio per questo e come non di rado accade agli uomini del sud ed all’icona stessa la mistica è il convitato di pietra: riemerge a pelo d’acqua come un relitto che cerca di riaffiorare fra le tempeste della contemporaneità. Infatti l’ombra della religiosità cede tutto al linguaggio della quotidianità: i colori pop, i rivoli, gli pseudo tagli ed il rimmel che trasuda, le labbra rosso carminio, quasi di rubino, il filo spinato, redimono la verità della fede dal conflitto con il mondo reale. Anche la tela Istinto libero è un ritratto che esce dal novero del martirio, con le braccia protese, rimanda all’imago pietatis ed a quella del Redentore della cena vinciana, mentre paradossalmente i ritratti di anime in Ascesi e L’anima con quel loro corpo vigoroso fornito di ali riecheggiano il mito platonico del contrasto fra materia e luce. Per conseguenza quasi in alternativa il suo linguaggio accetta anche l’evanescenza: ciò si evidenzia nel trans-umanar del volto di Benazir (Benazir Bhutto), de La Sanfelice (Luisa Sanfelice) o del Mahatma (Gandhi). Un’evanescenza che cita Richter ed in contrasto con la fissità di un volto che talvolta può nascondere un autoritratto e deragliare nel narcisismo. Se l’icona è una proiezione dell’animus infatti l’io rischia l’autoreferenzialità. Ma è un rischio che vale la pena correre se il disvelamento di noi stessi può servire a comprendere l’altro. Dunque l’icona non soltanto come un autocristo sofferente: le nostre-sue piaghe sono e debbono essere quelle dell’altro. Il volto rappresentato diventa allora una denuncia: quella del diverso che viene sacrificato dall’intolleranza e dalla stupidità del mondo fino adesso. Diventa eco di un ingiusto che ha ucciso il giusto, dell’arroganza che stritola e comprime la fragilità-forte della verità. Perché si sa che le vittime occupano il posto d’onore nella storia della follia umana attraverso lacrime e sangue. Ma cosa c’è di peggio che negare la storia che le ha ricordate? Il negazionismo è la piaga che periodicamente risorge nella perenne lotta fra le ipotetiche forze del bene e del male. I giapponesi negano i crimini di guerra in Manciuria, i russi quelli del comunismo, i Turchi il genocidio degli Armeni, i neonazisti la strage più spaventosa mai commessa verso uno specifico popolo. La violenza non accetta l’identità dell’alterità: le vittime siano i 50 000 omosessuali nei campi di concentramento, gli ebrei od i testimoni di Jehova: questi sono gli altri, i diversi da noi, essi non devono avere una identità. Sono quelli che devono essere dimenticati: sono il perturbante, l’inquietante presenza. Di per sé il ricordo ha qualcosa di titanico nel suo tentativo di riesumare i morti, ma in fondo le vittime passate sono lontane nella storia come nella geografia. I morti, oggi, di un uragano o di una guerra africana a poche migliaia di distanza da noi sono lontani come quelli della guerra di secessione americana o le vittime della peste nera del ‘300. E tuttavia si ritiene che alcune vittime rimangano speciali: perché fra le migliaia di persone torturate e crocifisse ricordiamo solo il Cristo? Perché fra i tanti eretici bruciati sul rogo ricordiamo solo Giordano Bruno? Perché Alberto ed Eloisa? Perché Gandhi? Perché John Brown? A pensarci bene c’è qualcosa che non torna. La verità è che bisogna smettere di credere che ci sono martiri di serie B e di serie A. I giovani ammazzati da Pinochet non sono santi anche loro? Sembra che Antonello Morsillo voglia farci ricordare che le vittime sono tutte uguali: un grande manto di compassione le deve avvolgere in un abbraccio universale. In questa nuova mostra i colori sono più brillanti, più dichiarati, là dove nelle opere passate persisteva per eccellenza la monocromaticità, adesso in alcune opere accentua le sue potenzialità caleidoscopiche. Nel quadro I risvolti del pregiudizio, in particolare, viene dipinto il dettaglio di un volto con grande occhio: la sua frontalità potrebbe ricordare tante icone moderne della pubblicità, ma la sua fissità non vuole sedurre, vuole parlare. Migliaia di pagine sono state scritte sulla seduzione dello sguardo: spesso gli occhi parlano molto più di una bocca. Essi possono ferire, fare del male (malocchio) o trasmettere messaggi impronunciabili: si sa infatti che era vietato guardare negli occhi un re od un gran signore perché andava oltre i confini dei ruoli stabiliti dalla società divisa rigidamente in classi. I primi etnografi che andavano in giro con la macchina fotografica operavano spesso illecitamente perché il tabù della visione ne vietava l’uso: in terre lontane si temeva che l’obiettivo potesse catturare l’anima. In questo caso l’occhio sembra sereno, a suo modo seduce: ma con una sorta di dripping versa lacrime colorate come se un trucco multicolore sbavasse oltre l’orlo della palpebra. Con questo “trucco” sbavato l’artista parla di catastrofe, di abisso e di colori simbolici che rimandano alle crudeltà dell’olocausto. In realtà le implicazioni sono molto più complesse dal momento che questa denuncia poggia su di una ambivalenza subliminale: i colori in fila rimandano all’arcobaleno cioè ad un segno di pace e di speranza dopo la tempesta. Nello stesso tempo la colata cromatica scivola via come le gocce di pioggia su di un vetro. Una cosa sola rimarrà: la pupilla adamantina con la stella ebraica. C’è da temere che con i tempi che corrono i ricorrenti idioti della storia la richiuderanno. La mostra infatti oltre che ricordare la shoah ricorda la grande ombra del nuovo leviatano con la sua purtroppo non più rara teoria farsa del negazionismo. Conscio del l’universalità del dolore Morsillo, negli altri quadri, include fra le vittime anche non ebrei che persero la vita nel l‘olocausto. Edith Stein, un ebrea convertita al cattolicesimo, viene rappresentata, nella tela La Mistica della Croce, abbracciata dalla Croce stessa e coronata da una grande aureola di filo spinato: anche qui si ricorre al calembour: la nuova martire non ha le mani inchiodate ed il suo volto è quasi sereno nella tragedia in una specie di estasi berniniana e se le immagini valgono qualcosa, le braccia aperte ricordano gli oranti delle catacombe quando in origine si pregava a braccia aperte: chiaro simbolo di speranza e rinascita. L’iconografia antica ritorna anche in L’amore ignoto, omaggio alla morte tragica del compagno dello scrittore Pierre Seel, uno dei tanti omosessuali trucidati nei lager spesso col supplizio. Si veniva denudati e lasciati col capo coperto per essere sbranati dai cani: una crudeltà che riecheggia con modalità analoghe il phersu etrusco, la posizione del corpo ricorda la estrema vulnerabilità di essere nudo davanti ai tormenti e l’impossibilità di vedere a causa della testa coperta da un sacco, mentre la posizione delle mani denota pianto ed angoscia. Di contro l’estasi barocca ritorna in Il Cavaliere dell’Immacolata (Massimiliano Kolbe) in un gesto che ricorda anche la mansuetudine di San Francesco che parla agli uccelli. Anche L’Inchiostro di Dio (Etty Hillesum) ricorda ancora una icona, ma tradita da uno splash aggressivo alla Yves Klein. Antonello Morsillo, quindi, è un artista che conosce bene le modalità del linguaggio combinando messaggi nuovi e vecchie maniere ai contenuti “impegnati” dell’immagine contemporanea.

ORNELLA FERRARI

Storica dell’arte moderna

L’ideale surreale

Un incontro casuale e non voluto dai protagonisti ha portato alla nascita di un termine, un’identificazione. Il Suridealismo si rivolge ad un’arte ricca di contenuti, presenti e ampiamente trattati a più livelli, anche se poco moderni e generalmente ignorati perché poco interessanti e non di moda, contenuti che arricchiscono e caratterizzano l’arte di Antonello Morsillo. Le sue opere sono intrise di fervori sociali rappresentati all’interno di scenari onirici. Ideali surreali ma pur sempre tipici e necessari alla comune felicità, alla società civile, al rispetto umanamente indispensabile per l’uomo moderno, legato ad un passato tradizionalmente ricco di questi principi come l’onestà, la lealtà o la capacità di sacrificarsi per il bene, per un ideale più grande di lui. Da un’arte celebrativa, dedicata ad alcuni protagonisti del mondo della musica moderna, Morsillo, ad un certo punto del suo percorso artistico avverte l’esigenza di rappresentare prima, il doloroso sentire della follia nel mondo immaginario e straordinariamente reale del cinema e poi la sofferenza necessaria e sicuramente non inaspettata per chi decide di affrontare l’estremo sacrificio e tornare idealmente a quei principi dai quali è nata l’attuale società. Il nostro mondo smemorato è capace di non riconoscersi più nella propria nobile civiltà, negli eroi che l’hanno innalzata con il proprio dolore alla massima umana espressione. Una galleria di personaggi ci presenta la capacità di alcuni uomini di nobilitare l’intera umanità. L’artista, attraverso i colori vivaci e il movimento delle vesti, rappresenta l’innalzarsi dell’anima di questi personaggi protesi verso un cielo ideale e concentrati nel loro atto incomprensibile ai più. Il percorso artistico di un artista può essere pieno di cambiamenti stilistici e non solo, Morsillo ha modificato, durante la sua crescita, stile e tecniche rimanendo legato al suo desiderio di trattare psicologicamente quei concetti che appartengono ai soggetti rappresentati. A tal proposito inserisce simbolici squarci pittorici, nelle tele, ispirandosi alle macchie di Rorschach, presenti in tutte le sue opere fin dalla personale Cinemorfismi le maschere della follia sul grande schermo. Con Svestiti di carne i martiri del pensiero Morsillo matura pienamente il suo desiderio di idealismo, rappresentando un Giordano Bruno dallo sguardo fermo e determinato nel suo intento, nonostante le labbra impossibilitate ad esprimersi perché addirittura assenti e le fiamme dai vivaci colori che lo avvolgono. Nella stessa esposizione altri “Martiri del pensiero” si immolano per le proprie personali missioni, come Gandhi in Mahatma rappresentato in un cielo ideale e leggero quanto il suo pensiero semplice, non aggressivo ma micidialmente efficace, come la storia ci ha insegnato. Nel 2015 con la personale Shoah i risvolti del pregiudizio, Morsillo affronta temi come l’ignoranza, il razzismo e la crudeltà umana. L’opera rappresentativa di questa esposizione, un occhio che piange lacrime multicolori, è colma di simbolismi. Le lacrime rappresentano i colori che distinguevano le varie classi di detenuti, destinati ad un atroce destino nei campi di concentramento. Immagini surreali, a volte sospese nel vuoto in un’estasi ideale, come Edith Stein in La Mistica della Croce o in un ambiente che sembra riprodurre il dolore, le ferite, la disperazione senza via di scampo del protagonista della tela L’Amore anonimo. Trovo in Morsillo un genuino e quasi infantile desiderio di giustizia e di denuncia delle umane ingiustizie, a volte espresse con una volontà forte e surreale non adatta all’attuale realtà che tutti noi viviamo dove l’indifferenza ci spinge a non farci coinvolgere fino a che la cosa, il problema non ci riguardi personalmente. La politica generale del non sentire e condividere, di non agire per il dolore altrui non riguarda Morsillo che, al contrario, sembra voler far vivere nelle sue opere ai protagonisti delle sue tele, la vita loro negata perché troppo presto sopraffatti dall’umana ingiustizia. Nel suo omaggio alle vittime dei campi di concentramento, Morsillo riproduce con alcuni profili ciò che poteva essere e non è stato, come la gioventù mai raggiunta di Anne Frank in L’Alloggio segreto o la gravidanza forzatamente interrotta alla pittrice Charlotte Salomon in La Creazione interiore, colori e bellezza cercano di riscattare un destino troppo crudele e frutto di una società malata e cieca. Con questa sua mostra antologica, Suridealista l’arte come urgenza etica, Morsillo compie quindici anni di attività artistica. Emblematicamente l’ultima sua opera si intitola L’etica e con il suo nome rivela il suo intento di rappresentare un valore tanto raro e prezioso quanto difficile da trattare. Una donna bendata, dai tratti limpidi e precisi, all’interno di un cammeo che in uno sfondo sfumato e indeterminato ci fa riflettere sulla necessità di non essere tutti noi ciechi ad una vita eticamente valida. Morsillo ci vuole far riflettere e comprendere quanto sia importante nell’arte l’urgere di un’etica universale.

RAFFAELLA PETRILLI

Docente di filosofia e teoria dei linguaggi all’Università della Tuscia- Viterbo

L’ideale è un concetto

Suridealismo una parola non proprio trasparente, non è facile da interpretare sulle prime. Mi son chiesta cosa Antonello Morsillo vuol dire. Lui fa un esempio e dice che l’ideale, è la ricerca di ciò che è necessario per tutti noi esattamente come è necessario il significato alle parole. Le parole, sono suoni lì possiamo anche leggere e quindi sono lettere. Sono percepibili ma quello che le rende veramente ciò che sono è il significato che non si vede ma si capisce. Allora noi abbiamo questa realtà materiale percepibile, visibile che però è quella che è grazie a qualcosa che non si vede: l’ideale, l’etica. Allora come diventa immagine pittorica questo nodo tra il visibile e l’invisibile? Diventa percepibile nel modo in cui illustra, che Morsillo ci fa vedere nei quadri e cioè la realtà. Dico subito che i quadri riguardano sempre delle persone che hanno nome e cognome, hanno una faccia, un viso. Ma nel momento in cui raggiungono il loro ideale etico e sono tutti simboli di un ideale la parte fisica interessa quasi meno viene un po’ cancellata. Come in Le fiamme della fierezza in cui è rappresentato Giordano Bruno che non ha neanche più la bocca, sta simboleggiando il suo ideale per il quale è morto o per il quale ha lottato. Dunque l’ideale si vede attraverso una piccola deformazione del visibile della figura della faccia del personaggio, Questo sempre nei quadri di Morsillo. La cosa più importante è che l’incarnazione di questi ideali è diversa per ogni personaggio: tutti diversi ma peculiari nella loro idealità. È proprio la trasformazione visibile dell’ideale in una metafora. Non è uno scavo nella profondità dell’inconscio altrimenti sarebbe surrealismo. È una cosa che si aggiunge a tutte le facce dipinte. Per Morsillo ognuno di noi ha bisogno di essere davvero quello che è per un ideale, per una scelta etica ognuno ce l’avrà diversa l’una dell’altro, ma cambia i tratti. Non è nè il canone ideale, la bellezza sublime di certa pittura. Non è il realismo più preciso più attento alla riproduzione del reale, ma è l’ideale che si aggiunge ad un tratto soggettivo che scava nella forma del ritratto. Antonello Morsillo è la prova provata che arte e filosofia possono comunicare. Lui guarda le persone particolarmente rivelanti per la forza degli ideali che esprimono. L’artista dice proprio: “Questa forza dell’etica è un viaggio da percorrere camminando lungo i solchi della natura all’insegna del potere visionario delle idee”. Idee in senso proprio. È un viaggio e significa che si parte da una parte e si arriva ad un’altra. Diversa dalla prima quando uno arriva alla fine del viaggio è diverso. Questo è il modello del viaggio che è una ricerca una crescita, un cambiamento platonicamente una conversione dello sguardo. Una conversione necessaria non si può vivere senza questa ricerca, senza l’ideale. Ed è un lavoro che Antonello fa guardando o avvertendo i propri modi interiori e basta, ma intenzionalmente volendo capire che cosa la vita intorno a noi ci insegna. L’ideale è un concetto e quando Morsillo lo esprime lo fa sotto forma di concetto. La forza del pensiero che non si fa imbrigliare da nessuno di Giordano Bruno in Le fiamme della fierezza. Oppure la capacità di lottare per raggiungere un obiettivo di Marielle Franco in Le radici della democrazia. Sono progetti di vita che la filosofia ci insegna a chiamare concetti ideali. Tra l’altro emerge un’altra cosa molto filosoficamente pregnante: il percorso di ciascuno di noi è diverso da quello degli altri. E quindi ognuno dovrebbe sentirsi impegnato nel capire qual è il suo di percorso verso che cosa vuole raggiungere la propria verità. La propria vera realtà che è un concetto filosofico, platonico che lui conosce molto bene. Il viaggio verso l’ideale, intrapreso da Antonello, non è rilassante, non è sicuro che vada a finire ecco perché richiede l’impegno. È un viaggio che può anche fallire e se fallisce vuol dire che qualcosa è andato male e allora devi riprovarci. Di qui c’è anche la forza di denuncia sociale, culturale del suo lavoro. Perché non si arriva da nessuna parte se ci si ferma ai soli piaceri di superficie. Questo significa che non si arriva da nessuna parte e significa che possiamo sbagliare, possiamo non soltanto non capire verso che cosa stiamo andando, ma possiamo proprio fermarci molto prima. Quindi abbiamo bisogno di impegnare quotidianamente il duro lavoro della ricerca, altro concetto filosofico perché niente è facile, e possiamo sbagliare di qui vedere le stesse cose con occhi diversi a seconda di come siamo, di come siamo diventati e dello sforzo che abbiamo impegnato in questo percorso. Antonello Morsillo lo chiama concetto, l’ideale è un concetto perché richiede l’impegno, richiede lo sforzo vero. Anche nel periodo grafico precedente al suridealismo nelle sue opere riguardanti personaggi dello spettacolo o della musica, sono sempre legate all’umano, e questa sintesi emergeva. Questi personaggi per la loro natura variegata non sono tutti esemplari di un ideale da perseguire, però tutti sono raffigurati con dei tratti modificati da ciò che è la loro vera realtà. Personaggi che comunque hanno impersonato un carattere, un carattere ideale e diventano tutti simbolici o meno persone comuni, anche se note, tutto ciò da una tipologia dell’umano molto ampia e non tutta omogenea in alto. È il loro un viaggio libero. Libertà come richiesta di impegno, di ricerca vera, differenza tra di noi, non siamo tutti obbligati ad andare in una direzione ma alla sincerità della ricerca si. È questo che fa la differenza, che da anche il tema della denuncia perché l’insincerità è il male. C’è il vuoto di esistenza, di realtà di impegno, di concetto e in Morsillo il concetto è una bella parola, ci da la vita, la realtà di quello che siamo.

ANNA ROMEO

Docente di filosofia e storia, Liceo Keplero, Roma

Oltre la benda

Il percorso artistico di Antonello Morsillo si prefigura come una serie di interrogativi allo stesso modo della filosofia. Difatti all’interno di questo testo possiamo cogliere alcuni riferimenti. Le sue sono domande che, di volta in volta, interrogano il fruitore su un universo ricco e problematico. L’opera, in copertina, L’etica, immediatamente ci fa chiedere perché la benda agli occhi? Cosa c’è dietro la benda? Da subito il rimando a Platone ne Il Simposio, dove vengono descritti i gradi della bellezza da quello materiale a quello spirituale. Allo stesso modo nella tela di Morsillo la figura di una donna bella, fiera anche se calva lascia intravedere che dietro la benda ci sia il bisogno di una dimensione spirituale. Oppure Schopenahuer, che in Il mondo come volontà e rappresentazione, con l’espressione il “Velo di Maya” presentava un individuo i cui occhi sono coperti da un velo fin dalla nascita; solo liberandosene potrà contemplare la vera essenza della realtà. Morsillo, utilizza la benda, rossa come il colore del martirio, per oscurare una contemporaneità travolta da immagini invasive e deleterie. Ma conscio, allo stesso modo, che per far apparire la realtà, alla fine bisogna stracciare quella benda, quel velo. Nelle sue opere emerge un universo kantiano, marxista e sociologico dove l’autore è calato per esprimere i suoi concetti e descrivere i suoi personaggi, in una realtà osservata e criticata continuamente. Il suo percorso artistico va di pari passo con quello filosofico e alla fine non dà risposte, ma continua a porre domande per continuare la sua indagine. L’artista si presenta e presenta la sua creazione, nudo come la stessa, per far riflettere davanti al velo ma anche far decidere se andare oltre e attraversarlo.